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VENEZIA 66 MOSTRA: TRAMA DEI FILM
I FILM
Venezia 66 – In Concorso
THE ROAD (La strada – John Hillcoat - Usa)
In un futuro dov'è successa una catastrofe mondiale (eddaje), un padre
e figlio (aridaje) si mettono in cammino alla ricerca di un ipotetico
sud (ari-ridaje) dove pare ci sia salvezza. Per fare l'ein plein, il
film ha qualche flashback familiare, assolutamente inutile se non per
mostrare che la moglie è una gran sventola (Charlize Theron, e te
credo), e per meglio mascherare la nullità di questo film. Il
“cammino” di padre e figlio (il primo, un onesto Viggo Mortensen, il
secondo un cinno odioso) viene inframezzato da situazioni tagliate con
l'accetta, senza mai entrare realmente nei personaggi di contorno. La
trama, tra l'altro, è fin troppo simile a Il tempo dei lupi di Haneke,
che a differenza di questa roba, però, è un gran film. 4.
LOURDES (Jessica Hausner – Austria - 90')
La storia del pellegrinaggio a Lourdes di una disabile, non
particolarmente credente, “ma è l'unica occasione per uscire”. Si
tirano in mezzo miracoli, veri o presunti. Dopo una buona ora
documentaristico-televisiva sull'ambita località francese (bellissima
la basilica, eh), condita da qualche lieve e innocua battuta sul
valore turistico del pellegrinaggio e sui miracoli, il film
nell'ultima mezz'ora si concentra sulla tematica del “miracolo”,
aumentando (finalmente) di ritmo e di battute, qualcuna certo
azzeccata ma senza sfiorare minimamente la cattiveria. Un film
tecnicamente poco bello, anzi direi brutto, per un tema affrontato con
affettuosa ironia. Quello che da qualche critico con evidenti problemi
di uso di sostanze proibite è stato definito il film più anti
clericale degli ultimi anni, si tratta di un innocuo, palloso e in
certi punti ridicolo buffetto sulla guancia. 4 (un punto in più perchè
dura poco).
LIFE DURING WARTIME (La vita ai tempi di guerra - Todd Solondz – Usa -
96')
Ripartendo dal bellissimo Happiness, Solondz torna a narrare,
attraverso gli occhi di tre sorelle, le cui famiglie sono vittime di
pesantissime calamità quali pedofilia, depressione e solitudine,
un'america che esiste e di cui nessuno ne vuol parlare. Il racconto è
basato su due tematiche, forgive and forget, perdonare e (o)
dimenticare. Non entro nei particolari, ma memorabile la scena della
cena di una coppia che si vuol formare cercando di farsi accettare
(con una cena) dai propri figli: se si dimentica, non si perdona; se
si perdona, spesso non si dimentica. Non mancano i momenti divertenti.
E per una volta, i fantasmi (del passato) hanno una collocazione
cinematografica del tutto adeguata. 8,5.
BAD LIEUTENANT (Il Cattivo Tenente – Werner Herzog - Usa - 121')
Più che un remake del film di Abel Ferrara, un film liberamente
tratto. Herzog ci mette una buona dose di ironia e riesce a gestire lo
strabordante Nicholas Cage, che alla fine risulta un grande punto di
forza del film, che narra l'ascesa “professionale” di un poliziotto
corrotto, sessuomane e cocainomane. Alla fine si assiste a un
poliziesco elegante e grottesco, con toni di commedia nera e scene
visionarie che ricordano il Gilliam di Las Vegas. Herzog si è
divertito parecchio. Anch'io. 8.
MY SON, MY SON, WHAT HAVE YE DONE
(Figlio mio, cos'hai combinato – Werner Herzog - Usa - 90')
Secondo film (a sorpresa) di Herzog in concorso, con David Lynch
produttore esecutivo nei titoli di testa. In realtà credo si tratti di
una vera e propria realizzazione a 4 mani, perchè quando vedi un nano
che non c'entra nulla col film, e la mamma di Laura Palmer, capisci
che il caro cineasta tedesco stavolta è in compagnia. Un figlio uccide
la madre, seguendo una tragedia di Sofocle e la sua mente insana, e si
barrica in casa con 2 ostaggi. La polizia (e gli autori) ricostruisce
la vicenda attraverso il racconto della fidanzata e del regista
teatrale. Confezione lussuosa: elegantissimo nella messa in scena,
scenografia da capolavoro, dialoghi iniziali incalzanti (ottimo Willem
Dafoe). Poi il film (o meglio la sceneggiatura) si perde, i flashback
narrano tutti la stessa storia, finendo col ripetersi e annoiare. Le
scene lynchiane, messe qua e là, non sembrano c'entrare molto. Resta
un thriller psicologico interessante ma non del tutto riuscito. 6,5.
YI NGOY (THE ACCIDENT) (L'incidente – Soi Cheang – Hong Kong - 89')
Un'organizzazione criminale uccide persone provocando incidenti
apparentemente casuali. In una missione un suo uomo perde la vita, il
Cervello (nomignolo del capo banda) si convince che non è casuale, e
cerca di scoprire il complotto. Bella sorpresa questo thriller, breve
e teso come nella migliore tradizione di cineasti hongkonghesi
(produce Johnnie To). La sceneggiatura, solidissima, riserva molti
colpi di scena e la crudezza del film non è mai gratuita. Al lido non
è stato apprezzato molto dai critici, ulteriore motivo di interesse da
parte nostra. Speriamo che lo distribuiscano. 7,5.
PERSECUTION (Persecuzione – Patrice Chereau – Francia - 100')
Il protagonista ha il solito personaggio che lo segue ovunque, gli
entra in casa, s'intrufola al lavoro. In più inizia ad avere problemi
con la sua donna, che lega alla persecuzione del tizio sconosciuto.
Tutto questo in 100 pallosissimi minuti di lui che si angoscia.
Chereau (già autore del brutto Gabrielle, e personalmente cassato a
vita) riesce a darci un'angoscia che ha un solo significato: perchè
non esco di sala e mi vado a bere una birra? Perchè erano le 10 di
mattina. Sono uscito lo stesso. 3.
TETSUO THE BULLET MAN (Tetsuo l'uomo proiettile – Shinya Tsukamoto –
Giappone- 79')
Il mio Tsukamoto preferito è quello di A Snake Of June (soprattutto) e
di Vital, non tanto dei due Tetsuo, che lo hanno giustamente rivelato
al pubblico come talento visionario e maestro di immagine. Questo
terzo capitolo ripete un po' stancamente (anche se brevemente) i primi
2, non aggiunge nulla, sembra più un regalo ai suoi fans. A caval
donato non si guarda in bocca. Ma... 5,5.
CAPITALISM: A LOVE STORY
(Capitalismo: una storia d'amore – Michael Moore - Usa - 120')
Dopo Roger & Me, Moore torna a parlare del capitalismo. Il suo
pensiero è semplice: è un male e va estirpato. Oltre a trovarmi
completamente d'accordo, Moore mette in scena come sempre idee
brillanti (non vi anticipo nulla, se non che doppia Gesù e che
“arresta” Wall Street) e ci trascina dentro il piacevole vortice delle
sue idee. L'inizio è un po' lento e duro, visto che si parla degli
espropri delle case degli americani, ma assolutamente propedeutico a
una seconda parte entusiasmante. Da vedere, tutti, fate i bravi. 8.
Notizie da film non visti: Il leone d'oro Levanon (Libano) ha messo
quasi tutti d'accordo, mentre tra gli italiani non è piaciuto troppo
Il grande sogno di Placido. Curiosa l'accoglienza a La doppia ora, di
Capotondi: non particolamente amato dalla critica ufficiale, ma
apprezzato dal pubblico accreditato, quindi immagino sia molto
interessante. È piaciuta molto, un po' a tutti, la commedia Soul
Kitchen, di Fatih Akin, e non è dispiaciuto l' A Single Man dello
stilista Tom Ford.
Venezia 66 - Fuori Concorso, Orizzonti e Controcampo
EHKY YA SCHAHRAZAD SCHEHERAZADE, TELL ME A STORY
(Sherazad, raccontami una storia - Yousry Nasrallah - Egitto - 135')
Lido di Venezia, 2 settembre 2009. Ore 16.00. Fa caldissimo e io
voglio andare al mare, visto che in sala l'unica offerta è un film
egiziano sui diritti delle donne di 2 ore e un quarto. E invece mi
faccio convincere alla tortura. Un grazie a chi mi ha convinto! Trama:
fate finta che un giovane Feltri sia sposato con la Gabanelli. Un
giornalista rampante e vicino al governo oscurantista deve avere una
promozione, ma dall'alto gli fan capire che la moglie deve smettere di
fare politica nella trasmissione che conduce in tv. Finirà di parlare
di donne. Tre storie, di cui la centrale bellissima, che porranno al
centro proprio i limiti dell'agire umano condizionato dall'attuale
governo. Peggio che la politica. Delicato, pungente, estremamente
coinvolgente in queste storie di donne, introdotte da una donna, anche
lei storia. Come Sherazad, nelle Mille e Una Notte. Qualche taglio e,
quindi, un montaggio più attento, e avremmo avuto un capolavoro. 7,5.
REC2 (Jaume Balaguerò, Paco Plaza – Spagna – 85')
Rec al quadrato (e non Rec 2, e ha un suo senso) inizia nello stesso
palazzo dov'era ambientato il predecessore (ma si segue anche senza
averlo visto), con la differenza che gli occhi, le telecamere che
premono il tasto REC, sono 2. Per gli appassionati di horror, come si
suol dire, un must: la trama è a dir poco bollita, ma gli stratagemmi
registici lo rendono maledettamente intrigante, sussultante e, roba da
non credere, elegante. Rec regge bene fino in fondo, ed è ancora
meglio del primo. Questo Paco Plaza dev'essere un grande, perchè
Balaguerò da quando gira con lui si è trasformato da pippa a fenomeno
(dell'horror). 7,5.
VALHALLA RISING (Nicolas Winding Refn – Danimarca - 90')
Vichinghi alla conquista della terra santa, partono ma sbagliano
posto. Ma non fa ridere. Bella la figura del protagonista, un
assassino guercio senza parola e senza pietà, che si affeziona a un
ragazzino che lo segue ammirato. Per il resto molta violenza, molta
nebbia e molta noia. 5.
BARKING WATER (Sterlin Harjo – Usa - 81')
Un nativo indiano, a cui restano pochi giorni di vita, vuole rivedere
tutta la famigliola, che però abita lontanissimo. La sua ex donna lo
accompagna per il suo ultimo viaggio. Solo 2 cose rese bene da questo
film: la sincerità della scrittura e il senso dell'agonia, che
coinvolge pienamente lo spettatore: probabilmente gli 81 minuti più
lunghi della mia vita. 4.
DIECI INVERNI (Valerio Mieli – Italia - 99')
Una storia d'amore e amicizia raccontata nello spazio di dieci
inverni, dal 1999 al 2009 (sarebbero undici ma un inverno lo salta). A
metà tra Harry ti presento Sally e l'immeritatamente dimenticato Un
amore (recuperate, gente, recuperate), un film che ha il suo enorme
punto di forza nei suoi emergenti interpreti: Isabella Regonese (la
ragazza del call center di Virzì, recuperare, grazie) e Michele
Riondino (che già teneva il passo di Elio Germano ne Il passato è una
terra straniera). Il film è discontinuo presenta alcuni episodi
azzeccati e coinvolgenti, alternati a inverni prevedibili. Il ritmo e
la scarsa presenza di banalità conducono a un finale che avrei voluto
diverso, più fedele e coerente con quanto visto e vissuto per un'ora e
mezza. Ne riparliamo quando lo avrete visto. 6,5.
PEPPERMINTA (Pipilotti Rist – Svizzera - 80')
Il paese di provenienza doveva già costituire un avvertimento, mentre
la presentazione del film nel pressbook, un trionfo di colori, ne
attirava la visione. Dovrebbe esserci una trama, io non l'ho vista:
c'è questa pazza chiamata Pepperminta che ogni 2' fa cose che vanno
dall'idiota all'incredibile (ve lo dico, tanto qui non esce: si beve e
fa bere il suo mestruo). I primi minuti li si guarda con simpatia,
dopo un quarto d'ora ti viene voglia di entrare in cabina di
proiezione e fare come Fantozzi con la Corazzata. 2.
DOWAHA (BURIED SECRETS) (Segreti bruciati – Raja Amari – Tunisia -
91')
In una casa apparentemente abbandonata vivono 2 donne con la loro
madre nell'alloggio per domestici. Un giorno viene a insediarsi una
giovane coppia (lui è il padrone di casa), e le 3 cercano di
nascondersi. Inizierà una strana convivenza, con la figlia minore
morbosamente attratta dal “nuovo mondo”. Dowaha è un thriller
psicologico, una specie di The Others non metafisico, con un tocco di
Soldato Jonathan di Don Siegel (recuperare entrambi, per chi non ha
visto). Scritto in maniera impeccabile, avvincente, angosciante,
claustrofobico ed estremo, il film rivelazione del festival questa
volta viene dalla Tunisia e da una giovane e coraggiosa regista,
supportata da un'autentica stella del nuovo secolo: l'incantevole e
incredibile Hafsia Herzi, affermatasi in Cous Cous e... nulla, questa
se non inizia/esagera a drogarsi, bere, e compagnia bella diventa la
più grande attrice del nuovo millennio. 8+
THE INFORMANT! (L'iinformatore – Steven Soderbergh – Usa - 110')
Dopo l'epico movie (4 ore) su Che Guevara, Soderbergh si diverte a
girare col taglio di una commedia nera, la storia di una delle più
grosse truffe degli anni '90: un rampante manager, convinto di far
carriera all'interno della sua azienda, ne denuncia le scorrettezze
all'FBI di cui diventa anche informatore. Seguono una serie di colpi
di scena. Il regista tiene in secondo piano il messaggio, l'etica e
l'analisi della vicenda, per concentrarsi sul divertimento. Vuole
divertirsi e vuole divertire. Sul primo scopo direi che non si hanno
dubbi, sul secondo qualcosina da ridire ci sarebbe, vista la
sceneggiatura piuttosto confusa. Bene la messa in scena, le musiche e
Matt Damon. 6.
Sezioni Collaterali – Giornate degli Autori e Settimana della Critica
VIDEOCRACY (Erik Gandini – Svezia - 86')
Documentario sulla televisione italiana, sui suoi effetti sul popolo e
di conseguenza sulla politica. Baricentro della narrazione,
ovviamente, il Presidente. Presentato come evento speciale della
mostra, esce nei cinema senza alcun battage pubblicitario, visto che
le sei televisioni principali italiane hanno rifiutato di trasmettere
il trailer. Il documentario si focalizza su 3 personaggi principali, 2
dei quali a noi molto noti: il noto agente televisivo Lele Mora, amico
e vicino di casa in Costa Smeralda del Presidente, che riceve gli
ospiti nella sua “casa bianca” e mostra orgoglioso il video al
cellulare di Faccetta Nera, con svastiche, croci celtiche e aquile; un
giovane che si allena nella lotta libera e a cantare e ballare Ricky
Martin, perchè vuole la notorietà e la televisione, non avendo
intenzione “di fare l'operaio tutta la vita”; il paparazzo Fabrizio
Corona, nichilista ricattatore delle star, un “Robin Hood deviato, che
ruba ai ricchi per dare a me”, un derivato, una scheggia a volte
impazzita di ciò che è la tv del Presidente. Asciutto e cinico, il
documentario offre quindi uno spaccato impeccabile del degrado del
nostro paese. Ma c'è un limite, fortissimo: lo vedrà chi già sa e già
concorda, mentre il target di questi messaggi, i ragazzi come
l'aspirante ballerino non lo vedranno mai. 7,5.
METROPIA (Tarik Saleh – Svezia - 86')
Cartone animato con le voci di Vincent Gallo e Juliette Lewis. In un
futuro non lontano, per colpa della crisi energetica, la
multinazionale ha “comprato” l'Europa, creando una grande
metropolitana che la unisce tutta (magari!). Ma ha il potere di
controllare le menti degli uomini. Il protagonista, che inizia a
sentire voci interiori, è anche attratto dalla consueta femme fatale,
che decide di seguire un giorno in metro. Metropia è affascinate,
curioso nell'animazione, intelligente e ha un bel messaggio. Ma anche
un gran difetto: è pallosissimo. Si arriva alla fine della neanche ora
e mezza completamente sfiniti e probabilmente avendo intuito gran
parte del finale. I cartoni futuristici li lascerei ancora in mano ai
giapponesi. 6.
CELDA 211 (Cella 211 – Daniel Monzòn – Spagna - 111')
Un secondino al suo primo giorno di lavoro si ritrova chiuso in una
cella durante una gigantesca rivolta nel settore di massima sicurezza.
Farà, o almeno proverà a fare, di necessità virtù. Action Thriller
carcerario, di notevole impatto e ancor più notevole violenza, il film
di Monzon è un continuo crescendo di tensione ed emozioni. Duro fin
dall'incipit, il film nella parte conclusiva si fa prendere
leggermente dal vortice di violenza che crea, offrendo situazioni al
limite dell'estremo. Il nodo narrativo (che lo rende un Thriller)
incolla lo spettatore alla sedia per tutte e 2 (quasi) ore di scena.
7,5.
LA HORDE (L'orda – Yannick Dahan – Francia - 97')
Poliziotti corrotti che cercano di vendicare un amico e fare una
brutta sorpresa a una banda di delinquenti che si nasconde all'ultimo
piano di un palazzo. Ma la sorpresa, a tutti, la fanno gli abitanti
del palazzo che si sono misteriosamente tramutati in zombie e,
ovviamente, li attaccano. Per strappare la sufficienza, un horror sul
tema più abusato del mondo, dev'essere girato bene, far ridere, far
sobbalzare e durare poco. Questo, bene o male, ci riesce. 6,5.
GORDOS (Obesi – Daniel Sanchez-Arevalo – Spagna - 120')
Le storie, mixate tra il comico e il drammatico, di 5 persone che
vanno a una terapia di gruppo per obesi, e del loro terapista. Cosa li
ha condotti all'obesita? E' la natura dei loro problemi o ne è la
conseguenza? Gordos è una commedia, parla di persone con problemi e lo
fa con due registri che meglio non potrebbero fondersi: il comico, con
situazioni paradossali, gag, battute davvero divertenti; il
drammatico, con un'analisi acuta dei problemi di queste persone. Il
peso non è il solo tema, c'è la famiglia, la maternità,
l'omosessualità, la solitudine. Il ritmo non manca, anche se i minuti
sono un po' troppi e a volte qualcosina non va, ma col voto voglio
stare un po' “gordo”. 7,5.
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