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  • Baby profughi, cambiano le rotte A Venezia aggirando Lampedusa



    TESSERA (Venezia) — Un po’ la chiusura del campo profughi greco di Patrasso dove salpava no, un po’ i pomodori che in Grecia abbonda no ancora e richiedono braccia, un po’ perché stanno battendo nuove rotte, un po’ perché la porta di Lampedusa è stata chiusa. Sarà per questo o per quel motivo, resta il fatto che For te Rossarol, il Centro di accoglienza che fino a qualche tempo fa rappresentava il crocevia dei flussi di minori che giungevano da Oriente, sta cambiando pelle. I baby-profughi afghani a Ve nezia sbarcano ormai col contagocce, «un due al mese, contro gli otto di prima», riferisce Re nato Mingardi, un assistente della cooperativa che gestisce il centro voluto dai Servizi Sociali del Comune di Venezia; mentre si registra una novità assoluta: l’arrivo di due ragazzi del Su dan, Africa, Mohammed e Ibrahim. «Due ragaz zi che in altri tempi, prima dei respingimenti, avrebbero certamente preso la via di Lampedu sa. Hanno aggirato l’ostacolo seguendo una rot ta terrestre. A dimostrazione che i flussi dei mi granti sono come l’acqua, non li puoi fermare. Chiudi il mare e passano da terra». Due però non è una frotta, come quella afghana dello scorso anno. E così dal rimescolamento ne esce un Forte Rossarol quasi dimezzato, quan to a presenze. In febbraio il centro era saturo con i suoi 45 piccoli ospiti. Oggi ne ha 27, con un minimo di 23 toccato qualche settimana fa. Sono rimasti 11 afghani, 9 kosovari e altri otto di varie nazionalità.
    La svolta è arrivata soprattutto con lo sman tellamento di Patrasso. Non si capisce se Min gardi sia soddisfatto o meno della cosa. «No no, per carità, sono contento per loro - dice Nel senso che così possiamo seguire meglio quelli che ci sono e, soprattutto, evitiamo trage die come quelle accadute sulle nostre strade». Il pensiero va a Zaher Rezai, il ragazzino af ghano che dopo lo sbarco al Tronchetto si era aggrappato alla pancia di un tir per evitare i controlli. Zaher scivolò finendo travolto dalle ruote del camion. Lo trovarono sull’asfalto di Tessera, piegato e senza vita come un giocatto lo rotto. Come lui erano decine i ragazzini sco nosciuti che da Oriente si avventuravano in viaggi omerici per raggiungere Venezia. Partiva no dagli altopiani afghani, attraversavano le pianure persiane, le montagne del Kurdistan, fino al mare turco e alla Grecia. In camion, a pie di, a cavallo, in barca. E lì, a Patrasso, si rifugia vano nel centro in attesa di infilarsi clandestina mente in un container o in un camion che parti va con la nave: potevano finire a Bari, Ancora o Venezia ma finivano soprattutto a Venezia. C’era chi viaggiava senza sosta per mesi e chi si fermava nelle miniere iraniane del Nord per mettere da parte la somma necessaria alle tra versate. «Ho fatto sei mesi lì sotto», diceva Alì in febbraio. Aveva un volto d’adulto e un dolce sorriso. Viveva in una delle casette di Forte Ros sarol con i cosiddetti «ragazzi di Patrasso». Ma ora che il centro greco (ospitava dai 200 ai 600 profughi) è stato chiuso, di quei baby profughi si sono perse le tracce. «Si staranno riorganiz zando - spiega Mingardi - Molti saranno rima sti in Grecia dove in questo periodo c’è biso gno di manodopera per la raccolta. E altri sta ranno studiando nuove rotte, per terra, via Al bania ».
    Potrebbero arrivare da Trieste, dunque, ma a quel punto Venezia è già superata. Perché il loro obiettivo non è più il Veneto ma il Nord Europa. «Molti vanno in Scandinavia, è quello il nuovo Eldorado». Altri in Austria e Germa nia, dove hanno parenti. Ma ovunque c’è crisi e disoccupazione. E dunque non è escluso che molti ragazzi non puntino neppure all’Europa. Dove vanno? In Cina, ipotizza qualcuno. Lì c’è lavoro e non ci sono troppe regole. Ma nel Vec chio continente si lavora meno e si guadagna ancora di più. Insomma, il flusso è rallentato e gli esperti stanno ancora cercando di capire quanti, come e dove sono i nuovi profughi. Ma con l’arrivo dei due africani sudanesi il campa nello è suonato: chiusa la porta marina del Sud potrebbero passare dalla finestra terrestre del Nord. «Così, almeno, hanno fatto Mohammed e Ibrahim». Nel frattempo, fra i pioppeti della terraferma veneziana, i 27 del Centro sono una grande fa miglia.
    C’è sempre chi racconta la propria im presa, lunga 5-6-7 mila chilometri. Ricordando che fino a qualche mese fa, questi viaggi li face vano anche i bambini. Ce n’era uno, Anàs, otto anni, che parlava il dialetto dei pashtun tradot to da un iracheno: «Ho dormito molte notti nel le grotte delle montagne con alcuni compagni. Eravamo in trecento a Kabul ma siamo rimasti pochi. Ho cambiato molti compagni, sempre nuova gente che parlava tante lingue». Per poi, nell’ultimo tratto da Patrasso a Venezia, digiu­nare per 36 ore all’interno del container dove si era chiuso. Trentasei ore con un litro di minera le. Anàs aveva visto la guerra, i morti, il sangue e l’addio di suo padre che un giorno gli ha det to «ora tocca a te e tu ce la farai». Toccava a lui andare in Europa, in Austria, perché lì c’era uno zio che lo poteva salvare. Un giorno è scap pato da Forte Rossarol. Come sono già scappati Mohammed e Ibrahim, verso Nord. Chissà se ce l’hanno fatta a superare le montagne.
    Andrea Pasqualetto
    22 settembre 2009

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