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  • Biennale di Venezia 2009: I Giardini

    Fare Mondi - Biennale d'Arte 2009 a Venezia
    All’inizio di settembre ho avuto modo di visitare una porzione della Biennale d’Arte di Venezia, specificamente quella dei Giardini. Il tema dell’esposizione di quest’anno è “Fare Mondi“, una sorta di percorso nel processo creativo, così voluto dal direttore Daniel Birnbaum. Per me è stata l’occasione di fare nuovamente un tuffo nell’arte contemporanea, e poter così assaporare la magia della creazione artistica. Ovvio che, come ogni esibizione d’Arte contemporanea (o d’Arte tout court) vi sono produzioni che piacciono e altre meno. La visita ai Giardini è stata sicuramente interessante grazie alla presenza dei padiglioni Nazionali, e quindi delle scelte operate dai singoli Paesi nel mettere in campo la loro creatività. Il risultato è sicuramente di vario tipo, ma una cosa è certa, esistono fermenti culturali interessanti ovunque, le sensazioni che offre questo grande tuffo nell’arte sono uniche, frutto certamente dell’ambientazione veneziana, ma anche e soprattutto delle nuove idee che, malgrado tutto, riescono ancora ad emergere.
    Il percorso per i padiglioni dei Giardini è sempre interessante, anche per comprendere come i vari Paesi hanno interpretato il “tema” dell’Esposizione. Miguel Barcelò, "La Solitudine Organizzativa", 2008
    La Spagna ospita nel suo padiglione le opere di Miquel Barceló sicuramente uno degli esponenti più attuali del panorama artistico iberico odierno. Le sue opere sono plastiche, terrose, siano esse sotto forma di quadri o di ceramiche, in alcuni casi esplorano lo spazio, in altri ripercorrono la storia andando ad esplorare le arti primitive, spesso rappresentando primati.
    Il Belgio dedica il suo spazio a un progetto di Jef Geyls, un’esplorazione della commistione tra natura e spazi urbani. progetto interessante, ma a amio avviso troppo didascalico nell’installazione poco riuscita.
    L’Olanda aveva una serie di installazioni video di Fiona Tan, dal titolo “Disorient“. Il progetto era molto interessante, anche se al solito, credo vi sia un forte limite delle installazioni video legate al tempo necessario per apprezzarle nella loro interezza.
    Il padiglione UnghereseDel Palazzo delle Esposizioni parleremo in un post apposito, preferisco ora continuare il mio viaggio ideale tra i vari paesi. La Finlandia dedicava il suo padiglione ad una sorta di mostra sui… pompieri. Ho capito solo dopo che l’intero fil rouge dei padiglioni scandinavi fosse quello di mostrare la “vita normale”. L’Ungheria invece incentrava il suo spazio espositivo sul concetto di Tempo, affidandosi a Péter Forgács e alle sue esplorazioni della storia e del tempo. Molto impressionante come lavoro, ben strutturato nelle emozioni che riusciva a suscitare.
    Deludente, almeno rispetto alle mie aspettative, il padiglione degli Stati Uniti. Affidato a Bruce Nauman, il suo “Topological Garden” si estende in realtà anche in altre due location veneziane, e perciò il mio non può che essere un giudizio parziale. Dalla fama del personaggio, mi aspettavo semplicemente qualcosa di più, anche se alcune delle installazioni presenti erano sicuramente degne di nota.
    Sull’altra sponda del canale interno, merita sempre una menzione il Padiglione Venezia, coi capolavori in vetro, mentre ha attirato la mia attenzione in modo particolare il “Leggermente Monumentale” padiglione dell’Egitto. Le installazioni a base di papiro intrecciato, riuscivano a ripercorrere la storia di quel paese in pochissime istantanee molto ben precise ed illuminanti.
    Graffiti al padiglione austriacoL’Austria metteva in mostra una scena di vita urbana, coi contributi di diversi artisti. Interessante l’orizzonte graffittaro che mette a nudo anche una certa critica contro l’arte troppo astratta e concettuale. Qi si torna al trasferimento di significato, spesso di base, dove sono i bisogni primari (sesso, cibo, sicurezza) che si mescolano e trovano espressione.
    Il Padiglione DaneseI padiglioni più affascinanti sono stati quello Danese e quello “unitario” dei Paesi Nordici. Entrambi “arredati” in modo tale da raccontare una storia, riuscivano a coinvolgere il visitatore nel loro viaggio all’interno, con delle trovate molto interessanti. Lungi dall’essere mere rappresentazioni architettoniche, centravano a mio giudizio appieno l’idea di esprimere la creatività a tutto tondo. In un mondo abituato a vedere CSI, entrambe le installazioni erano piene di “indizi” strani, di fatti sconcertanti.Il Padiglione Nordico Il primo, lussuosa abitazione in vendita in cui trovano posto una domestica placcata in oro, e una sfilza di costose cornici alle pareti che contenevano decine di cartoni del genere di quelli usati dai mendicanti per chiedere l’elemosina. Il secondo invece, modernissima abitazione “trendy” è luogo di un omicidio (o suicidio) con tanto di cadavere in piscina. Il padrone, scrittore di racconti erotici omosessuali, scomparso lascia però le tracce di una vita pare vissuta intensamente, senza scordarsi il quadro in cui sono incorniciati gli indumenti intimi di tutti (?) i suoi amanti. In entrambi traspare, anche se assente, la vita passata. Interessanti sensazioni.
    Altro padiglione di interesse quello della Francia in cui Claude Lévêque ci porta dentro un vortice d’angoscia in quella che sembra una prigione dello spirito. Ottima installazione, vibrante e roboante, la Grande Sera sembra ricordarci che il mondo d’oggi è ancora costellato di prigioni e di ideologie negative che vanno combattute. Avvincente l’esperimento dell’Australia con un viaggio di esplorazione on the road che riesce a mettere assieme tante modalità realizzative differenti. Il Giappone merita una menzione, con le gigantesche donne del vento che trovano spazio nel padiglione, ritratte da Miwa Yanagi nella loro primordiale energia.
    Il Padiglione RussoInfine, per concludere, il padiglione della Russia, sicuramente il più curato nella sua realizzazione. La sua Vittoria sul Futuro prende le esperienze di numerosi autori e le mescola in un sapiente mix di generi e gusti, tutti capaci di trasferire sensazioni importanti al pubblico. Come la sala del “tifo”, che, in una dimensione quasi da stadio, sembra fornirci una testimonianza vivida di quanto la fama sia effimera. Gli applausi si spengono di colpo. Una luce acceca. Ma tutto poi reinizia.

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